Il ruolo storico di Nietzsche

La mia vita. Scritti autobiografici
Settembre 1867-Aprile 1868

La meta che ho davanti agli occhi è quella di diventare un vero maestro militante, e soprattutto di far nascere nei giovani quel giudizio e quella riflessione critica che sono indispensabili per non perdere mai di vista le cause, gli effetti e i modi della loro scienza.

Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Considerazioni inattuali II)

9.

A che scopo esiste il «mondo», a che scopo l'«umanità», non ci deve affatto preoccupare, a meno che non ci vogliamo scherzare sopra: poiché la presunzione del piccolo verme umano è veramente la cosa più spassosa e amena sulla scena terrestre; ma la ragione per cui tu, singolo individuo, esisti, questo chiedo io, e se nessuno te lo sa dire, cerca almeno una volta di giustificare a posteriori il senso della tua esistenza, proponendo a te stesso uno scopo, una mèta, un «a questo fine», un alto e nobile «a questo fine». Va pure in rovina per esso — non conosco uno scopo di vita migliore che perire animae magnae prodigus, per il grande e per l'impossibile.

Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi

Volume I

1.

I miei scritti sono stati definiti una scuola del sospetto, anzi del disprezzo, ma fortunatamente anche del coraggio, anzi dell’audacia. In effetti, io stesso non credo che qualcuno abbia mai guardato nel mondo con un sospetto altrettanto profondo, e non solo come occasionale avvocato del diavolo, ma, per dirla in termini teologici, anche come accusatore e nemico di Dio: e chi indovini solo alcune delle conseguenze insite in ogni profondo sospetto, qualcosa dei brividi e delle paure dell’isolamento cui è condannato chiunque sia affetto da una assoluta diversità di sguardo, capirà anche quanto spesso io, per riposarmi di me stesso, quasi per dimenticare anche solo brevemente me stesso, abbia cercato un rifugio qualunque - in una qualche ammirazione, o ostilità, o scientificità o leggerezza o stupidità; e anche perché io, quando non trovavo ciò di cui avevo bisogno, dovessi per forza procurarmelo artificialmente, falsificandolo, inventandolo (e che altro hanno fatto mai i poeti? e a che scopo esisterebbe un’arte nel mondo?).

Ma ciò che mi è sempre stato estremamente necessario, per curarmi e ristabilirmi, era credere di non essere solo a tal punto, di non vedere da solo - un incantevole sospetto di affinità e di uguaglianza nel vedere e nel desiderare, un acquietarmi nella fiducia di un’amicizia, una cecità a due senza sospetti e punti interrogativi, un godere dei primi piani, delle superfici, di quanto è vicino, vicinissimo, di tutto ciò che ha colore, pelle e appariscenza…

2.

Così una volta, quando ne ebbi bisogno, mi inventai anche gli «spiriti liberi», ai quali è dedicato questo libro malinconico e coraggioso che si intitola «Umano, troppo umano»: simili «spiriti liberi» non esistono, non esistevano - ma allora avevo bisogno, come ho detto, della loro compagnia per restare di buon umore in mezzo a cose cattive (malattia, solitudine, estraneità, acedia, inattività), come buoni compagni e fantasmi, coi quali si parla e si ride quando si ha voglia di parlare e di ridere, ma che si mandano al diavolo quando diventano noiosi; come risarcimento per la mancanza di amici. Che, prima o poi, tali spiriti liberi possano esistere realmente, che la nostra Europa possa avere, tra i suoi figli di domani e dopo, tali compagni intrepidi e allegri, corporei e tangibili e non solo, come nel mio caso, schemi e giochi d’ombre da romiti, di questo vorrei essere l’ultimo a dubitare.

Li vedo già venire, lentamente, lentamente; e potrò forse contribuire ad accelerarne l’avvento descrivendo in anticipo sotto quali destini li vedo nascere, per quali vie li vedo giungere?”

241.

Genio della cultura. - Se qualcuno volesse immaginare un genio della cultura, di che natura sarebbe costui? Egli maneggia gli strumenti della menzogna, della prepotenza, dello spregiudicato egoismo con tanta sicurezza, che lo si dovrebbe definire unicamente come un malvagio essere demoniaco; ma i suoi scopi, che qua e là si intravvedono, sono grandi e buoni. E’ un centauro, a metà bestia, a metà uomo, e per di più ha sul capo ali d’angelo.

Aurora

1.

In questo libro troviamo al lavoro un «essere sotterraneo», uno che trivella, scava, scalza. Si vedrà, posto che si abbiano occhi per un tale lavoro in profondità -, come egli avanzi lentamente, cautamente, con delicata inesorabilità, senza che si tradisca troppo l'affanno che ogni lunga privazione d'aria e di luce comporta; lo si potrebbe perfino dire contento del suo oscuro lavoro. Non pare forse che una qualche fede lo guidi, che una consolazione lo ricompensi? Che voglia forse avere la sua lunga tenebra, il suo mondo incomprensibile, nascosto, enigmatico, perché sa che avrà anche il suo mattino, la sua redenzione, la sua aurora... Certo egli farà ritorno: non chiedetegli che cosa vuole là sotto, egli stesso, questo apparente Trofonio ed essere sotterraneo, ve lo dirà, quando di nuovo si sarà «fatto uomo». Si disimpara del tutto a tacere, se così a lungo si è stati, come lui, una talpa, soli.

2.

Infatti, miei pazienti amici, cosa io cercavo là sotto, ve lo voglio dire qui in questa tardiva prefazione, che facilmente avrebbe potuto divenire un necrologio, un'orazione funebre: poiché sono tornato indietro e - me la sono cavata. Non crediate che vi esorti allo stesso rischio! O anche solo alla stessa solitudine! Chi infatti va per queste particolari vie, non incontra nessuno: questo comportano le «vie particolari». Nessuno viene ad aiutarlo; con ogni pericolo, caso, malvagità, cattivo tempo che gli capita, deve sbrigarsela da solo. Ha appunto per sé la sua via - e, com'è giusto, la sua amarezza, il suo occasionale disgusto di questo «per sé»: del quale fa parte, per esempio, il sapere che perfino i suoi amici non possono indovinare dove egli sia, dove vada, tanto che talvolta si domanderanno «come? ancora è in cammino? ha ancora - una via?».

- Allora intrapresi qualcosa che non poteva essere affare di chiunque: discesi in profondità, trivellai nel fondo, cominciai a sondare e scalzare un'antica fiducia, sulla quale noi filosofi, da un paio di millenni, eravamo soliti costruire come sul più sicuro fondamento, - sempre di nuovo, benché ogni edificio finora sia sempre franato: cominciai a scalzare la nostra fiducia nella morale.

52.

- Si dice di Schopenhauer, e con ragione, che finalmente ha preso di nuovo sul serio per una volta le sofferenze dell'umanità: dov'è ora quello che prenda finalmente sul serio anche gli antidoti per queste sofferenze e metta alla berlina l'inaudita ciarlataneria con cui finora l'umanità è stata solita trattare, sotto i nomi più belli, le sue malattie dell'anima?

54.

I pensieri sulla malattia! - Calmare la fantasia del malato, in modo che egli almeno non abbia, come finora è stato, a soffrire più dei suoi pensieri sulla malattia, ma della malattia stessa, - io penso che questo sia già qualcosa! E non è poco! Comprendete ora il nostro compito?

467.

Due volte pazienza! - «Così tu arrechi dolore a molti uomini.» - Lo so; e so anche che perciò dovrò soffrire doppiamente: una volta per pietà della loro sofferenza e poi per la vendetta che essi si prenderanno su di me. Ma tuttavia non è meno necessario fare così come io faccio.

La gaia scienza

Prefazione alla seconda edizione

3.

Noi filosofi non siamo liberi di distinguere tra corpo anima come fa il popolo; siamo ancora meno liberi di distinguere tra anima e spirito. Non siamo rane pensanti, non siamo strumenti di oggettivazione e registrazione con viscere freddamente regolate, ― dobbiamo costantemente generare i nostri pensieri col nostro dolore e conferire loro, eternamente, tutto il nostro sangue, fuoco, piacere, passione, tormento, coscienza, destino, sciagura.

Vivere ― per noi significa tutto quello che siamo, trasformare costantemente in luce e fiamma anche tutto quello che ci riguarda, non possiamo farne a meno. E per quanto concerne la malattia: non avremmo quasi la tentazione di domandarci se non sia proprio indispensabile? Soltanto il grande dolore è l’ultimo liberatore dello spirito, in quanto maestro di quel grande dubbio che fa di ogni U una X, una X completamente autentica, cioè la penultima lettera dell’alfabeto...

Soltanto il grande dolore, quel dolore grande e lento che si prende tempo e nel quale bruciamo come legna verde, costringe noi filosofi a scendere nei nostri abissi più profondi e a disfarci di tutta la fiducia, di tutto ciò che è bonario, dissimulante, mite, medio, in cui forse un tempo avevamo riposto la nostra umanità. Io dubito che un tale dolore possa «migliorare»; so però che ci rende più profondi.

49.

Parla il saggio

Estraneo al popolo e pure ad esso utile

vado per la mia strada, ora sole, ora nuvola ―

e sempre sopra questo popolo!

Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno

Prefazione di Zarathustra

9.

A lungo dormì Zarathustra e sul suo viso non passò solo l'aurora ma anche il mattino. Alla fine però aprì gli occhi: con stupore guardò Zarathustra nel bosco e nel silenzio, con stupore Zarathustra guardò in se stesso. E rapido si levò, come un navigante che a un tratto scorga la terra, ed esultò; giacché scorgeva una nuova verità. E così parlò allora al proprio cuore:

Una luce è spuntata in me: di compagni di viaggio ho bisogno, e viventi, non compagni morti e cadaveri che posso portare con me dove voglio.

Di compagni vivi ho bisogno, che mi seguono perché vogliono seguire se stessi e proprio là dove voglio andare io.

Una luce è spuntata in me: non al popolo deve parlare Zarathustra bensì a compagni! Zarathustra non deve diventare pastore e cane di un gregge.

Per staccare molti dal gregge per questo sono venuto. Adirarsi con me debbono popolo e gregge: un predone deve essere Zarathustra per i pastori.

Parte seconda

Sulle isole beate

I fichi cadono dagli alberi, sono buoni e dolci; e alla caduta la loro pelle rossa si spacca. Io sono un vento del nord per fichi maturi.

Parte terza

Di tavole antiche e nuove

25.

La società umana: è un esperimento, così io insegno, un lungo cercare.

Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è

Prologo

2.

L'ultima cosa che io prometterei, sarebbe «correggere» l'umanità. Non erigerò nuovi idoli; i vecchi possono cominciare ad imparare cosa comporta avere i piedi d'argilla. Rovesciare gli idoli (il mio termine per «ideali») è questo, piuttosto, che attiene al mio mestiere. La realtà è stata spogliata del suo valore, del suo senso, della sua veracità, nella misura in cui si è inventato un mondo ideale. Il «mondo reale» e il «mondo apparente» vedi: il mondo inventato e la realtà... La menzogna dell'ideale è stata fino ad ora la maledizione scagliata contro la realtà, l'umanità stessa è diventata, per suo mezzo, mendace e falsa, giù nei suoi istinti più sotterranei fino al culto dei valori inversi rispetto a quelli per mezzo dei quali le sarebbe stata garantita la crescita, il futuro, il solenne diritto all'avvenire.

Perché sono un destino

1.

Conosco il mio destino. Un giorno il mio nome sarà associato al ricordo di qualcosa di prodigioso, a una crisi, come non ve ne furono mai sulla terra, alla più profonda collisione della coscienza, a un verdetto evocato contro tutto ciò che è stato finora creduto, preteso, santificato. Io non sono un uomo, sono dinamite. E con tutto ciò non vi è in me nulla del fondatore di religioni le religioni sono affari per la plebe, io ho bisogno di lavarmi le mani dopo il contatto con uomini religiosi...

Non voglio «credenti», penso di essere troppo maligno per credere a me stesso, non parlo mai alle masse... Ho una paura terribile che un giorno mi canonizzino: si indovinerà perché pubblico prima questo libro, deve impedire che con me si commettano degli eccessi... Non voglio essere un santo, piuttosto un buffone... Forse sono un buffone... E tuttavia, o piuttosto, non tuttavia perché non ci fu niente di più menzognero sinora del santo per bocca mia parla la verità.

Ma la mia verità è terribile: poiché finora si è chiamata verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori, questa è la mia formula per un atto di sublime autodeterminazione dell'umanità, che è divenuto in me carne e genio. La mia sorte vuole ch'io debba essere il primo uomo come si deve, ch'io mi sappia in opposizione a una falsità di millenni...

Io sono il primo ad aver scoperto la verità, per il fatto che io per primo ho sentito ho fiutato la menzogna come menzogna... Il mio genio è nelle mie narici...

Io contraddico come mai è stato contraddetto e ciononostante sono il contrario di uno spirito negatore. Io sono messaggero di buone novelle come non ce ne fu nessuno, conosco compiti di un'altezza per la quale finora è mancato il concetto; solo a partire da me ci sono ancora speranze. Con tutto ciò sono necessariamente anche l'uomo della fatalità. Poiché quando la verità dà battaglia alla menzogna di secoli, avremo sconvolgimenti, un sussulto di terremoti, uno spostamento di monti e valli, come non se ne sono mai sognati. Il concetto di politica è trapassato con ciò interamente in una guerra di spiriti, tutte le forme di potere della vecchia società sono saltate in aria si basano tutte sulla menzogna: ci sarà guerra, come non c'è stata mai sulla terra. Solo a partire da me ci sarà sulla terra una grande politica.

Perché sono così saggio

6.

- La mia prassi di guerra può essere compresa in 4 princìpi.

Primo: attacco solo cose che sono vittoriose, in alcune circostanze aspetto fino a che siano vittoriose.

Secondo: attacco solo cose contro le quali non troverei nessun alleato, contro le quali sono solo, contro le quali mi comprometto io solo... Non ho mai fatto pubblicamente un passo che non mi compromettesse: questo è il mio criterio del giusto agire.

Terzo: non attacco mai persone, mi servo della persona solo come di una potente lente di ingrandimento, con la quale si può rendere visibile uno stato di disagio generale, ma strisciante, difficilmente afferrabile...

Quarto: attacco solo cose dalle quali sia esclusa qualsiasi divergenza personale, dove manchi ogni retroscena di brutte esperienze. Al contrario, attaccare è, per me, una dimostrazione di benevolenza e, in determinate circostanze, di gratitudine. Associando il mio nome a una cosa, a una persona io le rendo onore, la distinguo: pro o contro per me è lo stesso...

Perché scrivo libri così buoni

1.

Una cosa sono io, un'altra i miei scritti. - Prima ch'io parli dei miei scritti stessi, conviene trattare qui il problema della loro comprensione o non-comprensione. Lo faccio con tutta la noncuranza del caso: poiché il momento per questo problema non è ancora giunto. Non è giunto neppure il mio, ci sono uomini che nascono postumi.

- Prima o poi avremo bisogno di istituzioni nelle quali vivere e insegnare come io intendo che si viva e si insegni; forse verranno istituite anche cattedre particolari per l'interpretazione dello Zarathustra. Ma sarei in totale contraddizione con me stesso se mi aspettassi di trovare già oggi orecchi e mani per le mie verità: che oggi non si ascolti, che oggi non si sappia prendere da me, non solo è comprensibile, ma a me pure sembra giusto. Non voglio essere preso per quello che non sono, per ciò occorre che io stesso non mi prenda per ciò che non sono.

Aurora

Pensieri sui pregiudizi morali

2.

Il mio compito, quello di preparare un momento di sublime autocoscienza dell'umanità, un grande mezzogiorno, nel quale essa guardi all'indietro o in avanti, nel quale essa esca dal dominio del caso e dei preti e ponga globalmente per la prima volta la questione del «perché»? dell'«a che scopo»? , questo compito deriva necessariamente dall'idea che l'umanità non è di per se stessa sulla buona via, che non è affatto retta da leggi divine, ma che proprio tra i suoi concetti di valore più sacri ha dominato, con la seduzione, l'istinto della negazione, della corruzione, l'istinto della décadence. La questione sull'origine dei valori morali è dunque per me una questione di primo piano, poiché essa condiziona il futuro dell'umanità. La pretesa di dover credere che in fondo tutto sia nelle mani migliori, che un libro, la Bibbia, offra una rassicurazione definitiva sulla guida e sulla saggezza divina nel destino dell'umanità, queste pretese, se ritradotte nella realtà, appare come volontà di non lasciar emergere la verità sulla miserevole antitesi di tutto questo, e cioè sul fatto che fino ad oggi l'umanità è stata nelle mani peggiori, è stata retta dai malriusciti, dai maligni vendicativi, dai cosiddetti «santi», questi calunniatori del mondo e denigratori dell'uomo.

Il caso Wagner. Un problema di musicisti

Prefazione

Che cosa esige da se stesso un filosofo in prima e ultima istanza? Superare dentro di sé il proprio tempo, diventare «senza tempo». Contro che cosa ha dunque da sostenere la lotta più accanita? Contro ciò in cui egli è appunto figlio del suo tempo. Orbene! Io sono, tanto quanto Wagner, figlio di questo tempo, ossia un décadent: solo che io l'ho compreso, solo che io mi sono difeso da ciò. Il filosofo in me si è difeso da tutto questo.

Quel che mi ha più profondamente occupato, è in effetti il problema della décadence ne ho avuto dei motivi. «Bene e Male» è soltanto una variante di quel problema. Se ai segni della decadenza ci si è fatto l'occhio, si comprende anche la morale si comprende quel che si cela dietro ai suoi nomi e alle sue formule di valore più sacre: la vita impoverita, la volontà della fine, la grande stanchezza. La morale nega la vita...

Per un tale compito mi fu necessaria un'autodisciplina: prender partito contro tutto quel che in me era malato, compreso Wagner, compreso Schopenhauer, compreso tutto quanto il moderno «essere uomini». Un profondo estraneamento, raffreddamento, disincanto nei confronti di tutto ciò che è del tempo, che è conforme al tempo: e, come sommo desiderio, l'occhio di Zarathustra, un occhio che abbraccia da un'immensa lontananza l'intera realtà «uomo» la vede sotto di sé... Per un tale scopo quale sacrificio non sarebbe adeguato? quale «autosuperamento»! quale «autonegazione»!

Epilogo

- Enuncio il mio concetto di modernità. Ogni epoca possiede, nella sua misura di forza, anche una misura delle virtù che le sono consentite e di quelle che le sono vietate. O essa possiede le virtù della vita ascendente: allora si oppone dal più profondo di sé alle virtù della vita in declino. Oppure è essa stessa una vita in declino allora ha bisogno anche delle virtù del declino, allora odia tutto quel che si giustifica unicamente per la pienezza, per la sovrabbondanza di forze.

L'estetica è indissolubilmente legata a queste premesse biologiche: esiste un'estetica della décadence, esiste un'estetica classica, un «bello in sé» è una chimera, come tutto quanto l'idealismo.

Ma senza saperlo, senza volerlo, abbiamo tutti dentro di noi, valori, parole, formule, morali di origine opposta, siamo, da un punto di vista fisiologico, falsi... Una diagnostica dell'anima moderna con che cosa comincerebbe? Con un taglio risoluto in questa contraddittorietà degli istinti, con l'estirpazione dei suoi valori contrastanti, con la vivisezione praticata sul suo caso più istruttivo.

Crepuscolo degli idoli; o come si filosofa col martello

Detti e frecce

15.

Uomini postumi - io, per esempio - vengono compresi peggio di quelli contemporanei, ma uditi meglio. Più esattamente: non veniamo mai compresi - di qui la nostra autorità...

Nietzsche contra Wagner Documenti di uno psicologo

Torino, Natale 1888

Noi antipodi

Se ho qualche vantaggio su tutti gli psicologi, è perché il mio sguardo è più acuto per quella difficilissima e capziosissima specie di induzione nella quale si compie il maggior numero di errori l'induzione dall'opera all'autore, dall'azione all'agente, dall'ideale a colui che ne ha bisogno, da ogni maniera di pensare e di valutare al bisogno che comanda dietro di essa.

- Nei confronti di artisti d'ogni genere ora mi servo di questa distinzione fondamentale: è qui divenuto creatore l'odio contro la vita oppure la sovrabbondanza di vita?